Agostino e il Sinodo sulla famiglia

La complessità della sintesi tra legge e storia

373 dopo Cristo, un giovane brillante e di belle speranze arriva a Cartagine dalla provincia. Lo studio della retorica, indispensabile per la scalata sociale a cui aspira, non riesce a soddisfare la sua sete di verità; anche l’incontro con la Bibbia lo delude, mentre l’intransigentismo dei seguaci di Mani lo cattura. A distanza di più di vent’anni, quand’è ormai vescovo e racconta questo episodio nel III libro delle Confessioni, Agostino prende le distanze dal fondamentalismo dei Manichei con un argomento di incredibile e straordinaria attualità, che merita di essere ricordato. L’errore di fondo delle loro dottrine deriverebbe, secondo il vescovo di Ippona, da un background materialista, che trasforma la lotta tra bene e male in uno scontro fisico tra potenze cosmiche, da far impallidire - diremmo oggi - la saga di Tolkien del “Signore degli anelli”. Il materialismo si traduce quindi in un letteralismo biblico, incapace di comprendere il senso invisibile della Scrittura, che solo l’intelligenza spirituale può cogliere nelle pieghe nascoste oltre la sua superficie visibile, e in un rigorismo etico, statico ed esteriore. Questi due atteggiamenti si fondevano nei Manichei in una dura critica all’Antico Testamento: interpretato alla lettera, appariva loro un concentrato di sacrifici, prescrizioni e pratiche rituali contradditori e inconciliabili con il Nuovo Testamento.

La risposta di Agostino è sorprendente e tiene conto sia della differenza paolina tra littera e spiritus, sia - ancor di più - di quella tra legge e grazia: chi si ferma alla dimensione esteriore non solo non coglie il significato più profondo della Parola di Dio, ma perde di vista anche il senso stesso della coscienza morale, che deve raccordare l’immutabilità della legge divina alla mutevolezza dei tempi: non dobbiamo indignarci quando vediamo che i precetti divini «sono diversi in rapporto alle diverse circostanze di tempo, pur essendo entrambi al servizio della medesima giustizia»; «ciò vorrebbe forse dire - si chiede retoricamente Agostino - che la giustizia è soggetta a variazioni e mutamenti? In realtà sono i tempi cui essa sovrintende che non procedono simultaneamente, proprio perché sono dei tempi» (3,7,13). In quegli anni, aggiunge, «io non afferravo che la giustizia... aveva presente simultaneamente tutti i suoi precetti ad un livello di gran lunga più alto e sublime e, senza conoscere variazioni particolari, era tuttavia in grado di assegnare precetti appropriati alle situazioni particolari e non tutti simultaneamente (nulla ex parte variari et tamen variis temporibus non omnia simul, sed propria distribuentem ac praecipientem)» (3,7,14).

Ciò non impedisce di riconoscere che alcuni vizi e misfatti sono condannati da Dio in assoluto, anche andando contro i costumi dominanti. Accanto ad essi, però, ci sono anche «i peccati di chi è in cammino (peccata proficientium), motivo di biasimo secondo un principio di perfezione da chi giudica rettamente, e di incoraggiamento nella speranza di un buon raccolto, come i germogli in vista del grano». Ci sono poi atti che assomigliano a un vizio o a un misfatto ma in realtà non sono peccati «poiché non offendono te, Signore Dio nostro, né i rapporti di convivenza, come quando ci si procura cose che servono opportunamente nelle circostanze della vita, senza esser sicuri che ciò avvenga per la voglia di possedere». Insomma chi si ferma alla lettera, non comprende la complessità della sintesi tra legge e storia, che dobbiamo responsabilmente compiere in interiore homine; una sintesi sempre perfettibile, che non può essere bypassata sostituendola con un “ricettario” rigido e statico, astratto e atemporale.

Ecco allora la conclusione di Agostino: «Insomma sono molte le azioni che sembrerebbero umanamente riprovevoli, mentre sono da approvare, stando alla tua testimonianza, e molte le azioni lodate dagli uomini e che la tua testimonianza invece condanna; spesso infatti altro è il modo in cui un atto si presenta, altro lo spirito con cui lo si compie, come pure il complesso di circostanze che non conosciamo» (3,9,17).

Dedico con gioia queste pagine di un grande Maestro, certamente non sospetto di relativismo, a tutti i “seriamente preoccupati”, che vivono con angoscia gli esiti del Sinodo sulla famiglia. A volte un po’ di senso storico è la medicina migliore contro tutte le nostre paranoie.

 

di Luigi Alici - Docente di Filosofia morale nell’Università di Macerata.
È stato presidente nazionale dell’Azione Cattolica Italiana.
Dal sito
http://luigialici.blogspot.it/