Luci e ombre del rinnovamento istituzionale

La nuova Costituzione

Le riforme costituzionali fanno parte del programma politico dei vari schieramenti fin dall’approvazione della Carta nel 1948. L’insistenza sui processi di rinnovamento è diventata pressante a seguito dello scandalo di Tangentopoli all’inizio degli anni’90. Nell’ultima legislatura, cominciata con il lavoro della Commissione dei saggi di Letta, il Parlamento ha varato la riforma che nella prossima primavera sarà sottoposta a referendum popolare (secondo il dettato dell’art. 138).

Sono tre i punti fondamentali della riforma costituzionale: la fine del bicameralismo perfetto (la fiducia al governo sarà concessa dalla Camera a cui sarà affidato in generale il procedimento legislativo), la riduzione del numero dei senatori e delle competenze del Senato e l’accentramento delle competenze delle regioni. Altri due impliciti e non marginali cambiamenti sono, da un lato, il consolidamento della stabilità e della forza del Governo e il rafforzamento di alcune garanzie (ad es. l’innalzamento del quorum per l’elezione del Presidente della Repubblica nel nuovo art. 83).

Superamento del bicameralismo perfettoIl nuovo art. 55 prevede che la Camera sia «titolare del rapporto di fiducia con il Governo» e che svolga «la funzione di indirizzo politico, la funzione legislativa e quella di controllo dell’operato del Governo». La fiducia di entrambe le camere aveva creato problemi anche in passato nella formazione dell’esecutivo: situazione aggravatasi nelle ultime legislature da una legge elettorale (ora dichiarata incostituzionale) che ha creato un disequilibrio di rappresentanza e una instabilità politica crescente. Il superamento del bicameralismo è un dato certamente positivo della riforma che però, nel combinato disposto con la legge elettorale approvata, l’Italicum, rischia di spostare l’asse del meccanismo di responsabilità politica più sulla governabilità che sulla rappresentanza effettiva all’interno delle aule parlamentari.

Nuovo Senato. Il Senato cambia completamente volto divenendo Camera delle autonomie. Nel nuovo articolo 57 esso sarà composto «da novantacinque senatori rappresentativi delle istituzioni territoriali e da cinque senatori che possono essere nominati dal Presidente della Repubblica». La rappresentanza finalmente concessa – come prevedeva la costituzione del ’48 – alle autonomie locali configura un modello nuovo non equiparabile a quelli di matrice tedesca o francese. Tale modello ha inteso escludere una rappresentanza funzionale delle formazioni sociali (ordini professionali, enti di ricerca, camere di commercio…) che potevano rientrare a far parte di un processo di rinnovamento della rappresentanza parlamentare che in Italia da anni è compromessa.

Riforma del titolo VNella nuova Costituzione emerge un disegno di ridefinizione delle competenze tra Stato e regioni. La prospettiva è duplice: il tentativo di eliminazione delle materie concorrenti e il ri-accentramento di molte materie a livello statale (ad es. nelle materie della tutela e sicurezza del lavoro; della produzione e trasporto dell’energia;  delle infrastrutture strategiche …). Questa svolta accentratrice rispetto alla riforma “federalista” del titolo V (l. Cost. 3/2001) sembra segnare una certa discrasia con le intenzioni di rappresentanza locale del nuovo Senato. La speranza è però che possa chiarificare le materie concorrenti (anche se è impossibile eliminarle totalmente) riducendo così il numero di ricorsi e la conflittualità tra Stato e regioni.

La Carta del 1948 fu costruita per il perseguimento di una democrazia sostanziale tramite strumenti d’ingegneria istituzionale che garantissero una rappresentanza statica delle forze politiche. Vittorio Bachelet nel 1954 sulle pagine di Coscienza, rivista del Meic, riscontrava già allora «una notevole differenza fra la parte programmatica della nostra Costituzione e quella che stabilisce ed ordina le strutture costituzionali dello Stato: innovatrice e talora audace la prima, ferma la seconda a un’impostazione di tipo pre-fascista, e inadeguata quindi alle funzioni nuove dello Stato». La storia politica dei prossimi anni e la giurisprudenza costituzionale ci indicheranno se la riforma approvata potrà contribuire a ridurre la differenza tra le due parti della Costituzione, nella consapevolezza che i principi programmatici sono il fine che le strutture costituzionali devono servire.

 

di Andrea Michieli - dal sito http://azionecattolica.it