Prima la dignità, poi la pena

Francesco e la condizione carceraria

Un vero incontro con la misericordia di Dio. È questo il motivo conduttore del giubileo straordinario che si aprirà il prossimo 8 dicembre. È lo stesso Papa Francesco a spiegarlo in una lettera indirizzata al presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, monsignor Rino Fisichella. Un anno, spiega ancora il vescovo di Roma, per “toccare con mano” la tenerezza del Signore.

In questo contesto non poteva mancare un riferimento al mondo delle carceri, e alla situazione dei detenuti. Sappiamo, da statistiche e da inchieste giornalistiche, quale sia la realtà del mondo dietro le sbarre, soprattutto conosciamo l’alto numero di reclusi che fanno delle carceri del nostro paese luoghi di sovraffollamento. Di conseguenza, è costante il riferimento all’amnistia come una possibile soluzione.

Non è questo il riferimento, però, da cui parte Papa Francesco, per auspicare che ai detenuti possa giungere “concretamente la misericordia del Padre”. Il giubileo, scrive Francesco, ha sempre costituito “l’opportunità di una grande amnistia, destinata a coinvolgere tante persone che, pur meritevoli della pena, hanno tuttavia preso coscienza dell’ingiustizia compiuta e desiderano sinceramente inserirsi di nuovo nella società portando il loro contributo onesto”. Nelle parole del Papa c’è anche la volontà di aprire la porta a coloro che ne sono esclusi, in un certo senso, perché impediti di recarsi nelle chiese e nei santuari per accogliere il perdono. Così, scrive Francesco, con una immagine molto significativa e toccante, “ogni volta che passeranno per la porta della loro cella, rivolgendo il pensiero e la preghiera al Padre possa questo gesto significare per loro il passaggio della porta santa”.

Una richiesta, questa dell’amnistia, che fece anche Papa Giovanni Paolo II, nel suo discorso al Parlamento italiano. Nel sottolineare alcuni aspetti della realtà del nostro paese, e soffermandosi sulla necessaria attenzione verso le “realtà più deboli” – la crisi grave dell’occupazione, soprattutto giovanile; le “molte povertà, miserie e emarginazioni, antiche e nuove” – e evidenziando il “bisogno di una solidarietà spontanea e capillare” e la “costante sollecitudine delle pubbliche istituzioni”, Papa Wojtyla disse: “in questa prospettiva, e senza compromettere la necessaria tutela della sicurezza dei cittadini, merita attenzione la situazione delle carceri, nelle quali i detenuti vivono spesso in condizioni di penoso sovraffollamento. Un segno di clemenza verso di loro mediante una riduzione della pena costituirebbe una chiara manifestazione di sensibilità, che non mancherebbe di stimolarne l'impegno di personale ricupero in vista di un positivo reinserimento nella società”.

Si era da poco concluso il grande giubileo del 2000, e questa frase di Giovanni Paolo II aprì un ampio dibattito tra le forze politiche, con la consueta divisione tra i favorevoli ad una simile iniziativa, radicali e Pannella primi fra tutti, e i contrari che ne vedevano un cedimento dello Stato, con il rischio di aprire le porte a persone che sarebbe stato meglio lasciare dietro le sbarre. Alla fine non se ne fece nulla, e rimase l’eco di questa richiesta e la conseguente prospettiva mancata di un gesto che avrebbe potuto aiutare molti a reinserirsi nella società.

Nove anni più tardi, il 18 dicembre 2011, Papa Benedetto XVI visita i detenuti del carcere romano di Rebibbia. Con loro avviava un dialogo, fatto di domande e risposte, la prima delle quali toccava proprio la questione della situazione delle carceri italiane. A Rocco, il detenuto che aveva posto la domanda al Papa, Benedetto XVI rispondeva che la sua presenza era soprattutto gesto di “vicinanza personale e intima”, e “gesto pubblico” per ricordare a cittadini e Governo che “ci sono grandi problemi e difficoltà nelle carceri italiane. E certamente, il senso di queste carceri è proprio quello di aiutare la giustizia, e la giustizia implica come primo fatto la dignità umana”. Carceri da costruire in modo che cresca e sia rispettata la dignità della persona. Un modo indiretto per sottolineare che il sovraffollamento non è una condizione degna dell’uomo; e, dunque, richiesta ai responsabili, al Governo di fare “il possibile per migliorare questa situazione, per aiutarvi a trovare realmente, qui, una buona realizzazione di una giustizia che vi aiuti a ritornare nella società con tutta la convinzione della vostra vocazione umana e con tutto il rispetto che esige la vostra condizione umana”. L’auspicio del Papa: che le carceri “rispondano al loro senso di rinnovare la dignità umana e non di attaccare questa dignità, e di migliorare la condizione. E speriamo che il Governo abbia la possibilità e tutte le possibilità per rispondere a questa vocazione”.

Ora le parole di Francesco hanno alimentato un analogo processo come quello vissuto con il suo predecessore; e sono nuovamente scesi in campo i favorevoli e i contrari al gesto di clemenza verso i detenuti, che non deve e non può essere una sorta di svuota-carceri, ma un gesto, appunto, un nuovo invito a trovare strade percorribili per rendere le strutture di detenzione, luoghi in cui il detenuto possa scontare giustamente la sua pena, ma nello stesso tempo possa trovare il modo di ricostruire la propria persona per reinserirsi nella società, dalla quale era stato allontanato per il reato compiuto.

Della situazione carceraria Papa Francesco aveva parlato anche nella recente visita a Napoli, quando si è recato a pranzo nel carcere di Poggioreale. Con i detenuti, a tavola, si è fermato sulla questione del sovraffollamento e della possibile amnistia. Ma soprattutto ha sottolineato che “i carcerati troppo spesso sono tenuti in condizioni indegne della persona umana, e dopo non riescono a reinserirsi nella società”. Nel ricordare le esperienze positive di inserimento, Francesco affermava che l’amore può sempre trasformare la persona umana: “un luogo di emarginazione, come può essere il carcere in senso negativo, può diventare un luogo di inclusione e di stimolo per tutta la società, perché sia più giusta, più attenta alle persone”.
 

di Fabio Zavattaro
Dal sito 
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