Serve davvero un bonus di 500 euro ai 18enni?

Msac e politiche per l’educazione

«Per ogni euro in più investito in sicurezza, ci deve essere un euro in più investito in cultura». Mentre da più parti soffia la retorica del conflitto, il premier Matteo Renzi ha il merito di offrire una lettura che risponde alla complessità delle derive fondamentaliste, spesso nutrite nella miseria delle nostre periferie. Pur condividendo pienamente il proposito degli investimenti – rispondere alla barbarie con la cultura – crediamo che alcune delle proposte avanzate non siano all’altezza delle profonde esigenze.

Ci riferiamo in particolare al “bonus” di 500 euro da destinare ai 18enni per spese culturali. Intendiamoci, si tratta di una misura allettante per i ragazzi. Ma quale sarebbe il disegno dietro questo provvedimento? Il bonus ai 18enni sarebbe una tantum, dunque i ragazzi lo riceverebbero solo nell’anno della maggiore età. Inoltre arriverebbe “a pioggia”, senza distinzione tra figli di famiglie benestanti – che possono agevolmente sostenere i costi del cinema o di un concerto – e ragazzi meno abbienti. La misura è presentata come analoga alla card dei docenti, che però riguarda tutti gli insegnanti: avrebbe senso, piuttosto, pensare a una dotazione per spese culturali rivolta a tutti gli studenti. È giusto, allora, investire ben 300 milioni per questo “bonus”?

Ciò su cui servirebbe davvero intervenire, immediatamente, è lo stato della povertà educativa (vera culla dei fanatismi, al pari con la povertà materiale). I dati delle ultime indagini statistiche, a riguardo, parlano chiaro. A inizio settembre il rapporto Illuminiamo il futuro 2030 – Obiettivi per liberare i bambini dalla Povertà Educativa di Save The Children attestava che quasi il 25% dei quindicenni italiani è sotto la soglia minima di competenze in matematica, e quasi 1 su 5 in lettura. Proprio pochi giorni fa, poi, il rapporto Reddito e condizioni di vitadell’Istat, relativo al 2014, sottolineava come il 28,3% della popolazione italiana è a rischio povertà; in particolare, l’11,6 % degli italiani vive in famiglie «gravemente deprivate», e il 12,1% in nuclei «a bassa intensità lavorativa» (famiglie monoreddito o con lavoratori precari). In molti casi, i ragazzi con scarse competenze appartengono a quel segmento di popolazione “a rischio”. La povertà economica, dunque, diventa spesso povertà educativa generando fallimenti formativi e dispersione scolastica (in Italia il 17% non conclude gli studi superiori). E chi è escluso dalla scuola perde anche quella formazione civica e valoriale, a cui la scuola dovrebbe concorrere.

A queste ragazze e ragazzi occorre garantire il libero accesso ai saperi, anche incentivando la fruizione di contenuti culturali. Ma come? Un modo ci sarebbe. La “Buona scuola” contiene una delega al Governo per promulgare una legge quadro nazionale sul diritto allo studio: una legge, cioè, che stabilisca i livelli minimi di assistenza, validi per tutto il territorio nazionale, per gli studenti meno abbienti. Proprio su questi temi, le ragazze e i ragazzi del Msac hanno promosso momenti di informazione nelle scuole nella Giornata Internazionale degli Studenti, lo scorso 17 novembre. E le associazioni studentesche, tra cui il Msac, hanno già presentato una proposta per l’attuazione della delega, che è stata vagliata dagli uffici legislativi del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Ma nella Legge di Stabilità non è previsto uno stanziamento di fondi, decisivo ovviamente per dare attuazione alla legge. Ora questa redistribuzione dei saldi, con il rinvio del taglio dell’Ires, sembra in qualche modo propizio. È il tempo di scelte coraggiose. La speranza è che la politica, in questa curva della storia per tanti aspetti cruciale, sappia guardare al bene degli studenti di oggi, e delle prossime generazioni.

 

Gioele Anni e Adelaide Iacobelli - Segretario e Vicesegretaria nazionale del Movimento Studenti di Azione Cattolica (Msac)
dal sito 
http://azionecattolica.it