Italia. Ritratto di un Paese affaticato

È ormai consuetudine l’appuntamento con due importanti osservatori della situazione sociale ed economica dell’Italia: il primo di questi è stato presentato ieri ed è curato dall’Istituto Nazionale di Statistica. Il secondo è quello con le considerazioni finali della relazione del Governatore della Banca d’Italia che è tradizionalmente calendarizzato nell’ultimo giorno lavorativo del mese. Il Rapporto annuale Istat 2015 sulla situazione del Paese offre un quadro ricco e articolato sulla realtà produttiva, territoriale e sociale dell’Italia, così come emerge dall’ampio repertorio di dati statistici derivanti dalle indagini e rilevazioni condotte dalla statistica ufficiale. La fotografia che ci viene proposta dal rapporto è di un sistema Paese ancora affaticato nella ricerca di vie di uscita dal declino strutturale ma con deboli (incoraggianti) segnali congiunturali.

Già dalla lettura delle prime pagine del Rapporto, appare molto evidente la preoccupazione degli statistici dell’istituto di fornire misure quantitative attendibili ed accurate del contributo nazionale al mutato scenario di uscita dalla crisi, che le statistiche internazionali evidenziano per gran parte dei maggiori “contribuenti” alla ripresa del processo di crescita internazionale.

Le stime prodotte dai modelli econometrici dell’Istituto sulla dinamica del Prodotto Interno Lordo segnalano una timida inversione di tendenza: un’evidenza che dovremo seguire con attenzione sia per capire se essa si consoliderà nei dati definitivi che avremo tra qualche mese e per comprendere quale sia l’effetto dovuto all’introduzione del nuovo sistema di redazione e valutazione della contabilità nazionale (il SEC2010) adottato lo scorso autunno dal nostro Istituto nazionale. Solo in una prospettiva di medio-lungo periodo potremo, in breve, valutare l’impatto delle misure di politica economica adottate negli ultimi mesi e volte a stimolare un cambiamento strutturale dell’economia nazionale.

Rimanendo alla situazione congiunturale, è possibile già verificare come sia la componente estera della domanda il fattore macroeconomico più significativo nella spiegazione di tali fragili segnali di crescita. La domanda interna appare debolmente in aumento, anche a motivo del rallentamento del fenomeno inflattivo che influisce sul potere di acquisto delle famiglie nonché da una maggiore quota del reddito disponibile destinata dalla famiglie al consumo che, simmetricamente influisce sulla riduzione della propensione al risparmio.

Ciò indurrebbe a pensare che la strategia complessiva delle famiglie italiane sia volta a cercare una stabilità negli stili di vita, peraltro fortemente ridimenzionati in questi anni, a costo di una sempre ridotta capacità di risparmiare quote di reddito.

Un atteggiamento di fiducia, registrato anche dagli appositi indicatori di clima delle famiglie e delle imprese, che si alimenta anche di fattori congiunturali a livello internazionale molto incoraggianti: il deprezzamento dell’euro (che avvantaggia particolarmente le imprese esportatrici), la politica monetaria della Banca Centrale Europea che attraverso il Quantitative Easing ha accresciuto la liquidità del sistema confidando nella capacità del sistema degli intermediari di ridurre il fenomeno del razionamento del credito e la riduzione dei prezzi delle materie prime che influisce immediatamente su molte tipologie di consumi delle famiglie.

Un altro importante capitolo riguarda il sistema produttivo, ovvero la geografia della crescita dei sistemi territoriali: i recenti dati censuari hanno infatti consentito la stima delle aree sub-regionali di mercato del lavoro (i sistemi locali del lavoro) determinante in base ai flussi di spostamento residenza del lavoratore-residenza del lavoro.

Rispetto all’ultimo censimento del 2001 essi sono infatti diminuiti nel numero e accresciuti nella superficie media, descrivendo una profonda ristrutturazione delle capacità territoriali ed endogene di sviluppo locale. Non vi sono inoltre variazioni nelle specializzazioni produttive, che rappresentano la dimensione dell’innovazione, mentre vi è un forte ridimensionamento a livello occupazionale. L’offerta di lavoro appare ancora caratterizzata da un basso tasso di partecipazione, soprattutto femminile e da alti tassi di disoccupazione soprattutto giovanile e meridionale. In tal senso il rapporto sottolinea la natura persistente del divario territoriale, e la sostanziale difficoltà del Mezzogiorno di catturare i pur fragili sentieri di ripresa del Centro-Nord. Determinanti importanti di tale andamento del mercato del lavoro sono dal lato della domanda la frammentazione della struttura produttiva e una tendenza negativa degli investimenti fissi a livello macro e dei processi innovativi delle imprese a livello micro e dal lato dell’offerta il processo di invecchiamento demografico della popolazione e la crescente fuoriscita del capitale umano soprattutto all’estero. Si legge con un certo sgomento l’entusiastica valutazione della crescita della quota di persone giovani con elevata specializzazione (come ad esempio i dottori di ricerca) che trovano inserimenti occupazionali nei mercati esteri!

L’ultimo capitolo del rapporto è dedicato all’analisi del benessere soggettivo, dei servizi e delle condizioni sociali delle famiglie a un livello di scale territoriale urbana, pur rilevando l’ampia trattazione di dati pertinenti, sorprende tuttavia l’assenza di riferimento esplicito agli indicatori del BES (Benessere Equo e Sostenibile) che pure lo stesso Istituto costruisce e raccoglie in altre fonti.

L’Italia del Rapporto 2015 appare affaticata da una lunga stagione di declino, da un persistente dualismo interno tra Centro-Nord e Mezzogiorno anche se caratterizzata da una debole ripresa congiunturale che potrà tradursi a livello strutturale solo se inciderà nei processi innovativi delle imprese, nell’innalzamento dei tassi di partecipazione e nella capacità di stimolare i sistemi territoriali a partire da quelle vocazioni locali che sono riconosciute come fattori rilevanti per un modello di sviluppo diverso, alternativo, basato sulla valorizzazione del patrimonio culturale, dei nuovi bisogni sociali, della sostenibilità ambientale e della crescita intelligente dei sistemi urbani.
 

di Giuseppe Notarstefano,
Economista e Vicepresidente nazionale dell’Ac per il Settore Adulti