Nel solco di Aparecida

Il viaggio di Francesco a Cuba e negli Usa

Prima l’isola di Fidel Castro, poi l’America di Obama. Il viaggio di settembre prossimo di Papa Francesco si snoda lungo questo itinerario, e rappresenta un unicum nel panorama delle visite compiute dai Pontefici. Cuba, lo sappiamo, è già stata visitata dai suoi predecessori: storico l’incontro tra il leader maximo e Giovanni Paolo II, la prima volta di un Papa nell’isola caraibica, ancora sotto l’embargo decretato dagli Stati Uniti. E un Papa che chiede all’Avana di aprirsi al mondo e il mondo di aprirsi a Cuba. Segnale distensivo che, allora, non viene raccolto da Washington.

Poi è la volta di Benedetto XVI; al governo c’è già il fratello di Fidel, Raul Castro. Ma non mancherà l’incontro tra Papa Ratzinger e il presidente storico, l’amico di Che Guevara. E quel dialogo sulla religione, sui cambiamenti nella liturgia della Chiesa, curiosità di un ex allievo dei gesuiti, che chiede al suo interlocutore: cosa fa un Papa?

Ora nell’isola caraibica arriva il primo gesuita diventato vescovo di Roma, per di più figlio dell’America Latina. Ma, cosa ancora più importante, colui che ha mediato per un effettivo riavvicinamento tra L’Avana e Washington, mediazione riconosciuta dai due Paesi e dai suoi leader.

Cuba e Usa. Un percorso che è molto di più di un semplice passaggio da un paese a un altro, da una realtà segnata da povertà e privazioni a una nazione leader nel mondo occidentale. Sarà molto interessante seguire questo itinerario di Jorge Mario Bergoglio. Ma già le premesse lo rendono un evento storico, epocale. Per di più inserito in una realtà politica a stelle e strisce dove tra democratici e repubblicani è in corso un confronto per l’elezione del futuro presidente americano. Certo Francesco non è lì per fare la campagna elettorale a favore né dell’uno e nemmeno dell’altro partito. Ma come non leggere tutto questo come un assist alla politica democratica promossa dall’amministrazione Obama.

Ma c’è anche da dire che la scelta di “entrare” negli Stati Uniti da Cuba ha un significato politico non indifferente: visita il paese che è stato nella lista nera degli Stati Uniti - il viaggio si svolgerà dal 19 al 22 settembre - e sceglie Cuba per iniziare la sua visita statunitense - dal 22 al 27 settembre. A Cuba per riproporre il tema della povertà e dello sviluppo. Ma anche la questione dei diritti umani e delle libertà, non certo ampiamente rispettate dal regime, con i tanti dissidenti ancora nelle carceri. E infine il tema di una maggiore libertà per la Chiesa di esercitare la propria missione. Temi che torneranno nella riflessione che Francesco proporrà al Congresso degli Stati Uniti riunito in sessione congiunta, il prossimo 24 settembre, e anche nell’intervento previsto al Palazzo di vetro delle Nazioni Unite.

La prospettiva è quella del documento di Aparecida, la riunione degli episcopati latinoamericani, il Celam, svoltasi nel 2007 presso il santuario mariano in Brasile. In quel documento, che Papa Francesco consegna a tutti i Capi di Stato di governo dell’America Latina, in visita in Vaticano, ci sono tracciate le linee guida della presenza della Chiesa nel continente e del suo ruolo nella società; ma c’è anche un invito ai governi a costruire processi di crescita e sviluppo nel rispetto dei diritti dei popoli e nell’equa distribuzione delle risorse. Una Chiesa che “non abbia paura di entrare nella notte”, diceva Papa Francesco ai vescovi del Brasile incontrati a Rio de Janeiro in occasione del suo primo viaggio internazionale, riflettendo con loro sul documento di Aparecida. Una chiesa, dunque, che chiede la libertà di annunciare il Vangelo in modo integrale «anche quando si pone in contrasto con il mondo, anche quando va controcorrente, difendendo il tesoro di cui è solo custode, e i valori dei quali non dispone, ma che ha ricevuto e ai quali deve essere fedele»; che afferma il diritto di «servire l’uomo nella sua interezza, dicendogli quello che Dio ha rivelato circa l’uomo e la sua realizzazione, ad essa desidera rendere presente quel patrimonio immateriale senza il quale la società si sfalda, le città sarebbero travolte dai propri muri, abissi e barriere. La Chiesa ha il diritto e il dovere di mantenere accesa la fiamma della liberta e dell’unità dell’uomo».

Nel documento si conferma l’opzione preferenziale per i poveri e gli esclusi che risale alla conferenza di Medellin, 1968, «a partire dal fatto che, in Cristo, Dio si è fatto povero per arricchirci con la sua povertà», e oggi i nuovi volti dei poveri sono i disoccupati, i migranti, gli abbandonati, i malati. Mettendo in primo piano le tesi emerse a Puebla, 1979 – è la conferenza del Celam, alla quale avrebbe dovuto partecipare, nel 1978, Papa Paolo VI e che si svolgerà l’anno successivo alla morte di Montini, presente Giovanni Paolo II – e a Santo Dominigo, nel testo di Aparecida si ricorda anche l’urgenza di un impegno dei laici in politica «per una cittadinanza piena nella società democratica, la solidarietà con i popoli indigeni e di origine africana, e un’azione evangelizzatrice che indichi cammini di riconciliazione, fraternità e integrazione tra i nostri popoli».

Un viaggio, il prossimo di settembre a Cuba e Stati Uniti, che si svolgerà all’indomani della pubblicazione dell’enciclica Laudato si’. Un tema, la difesa del creato, già affrontato più volte nei suoi interventi, e in modo particolare nel discorso fatto in Brasile ai vescovi, parlando dell’Amazzonia. La Chiesa è nel grande polmone verde del continente «non come chi ha le valigie in mano per partire dopo aver sfruttato tutto ciò che ha potuto». Di qui l’invito a riflettere su quanto ad Aparecida è stato detto sull’Amazzonia, «il forte richiamo al rispetto e alla custodia del intera creazione che Dio ha affidato all’uomo non perché lo sfrutti selvaggiamente, ma perché lo renda un giardino».

 

di Fabio Zavattaro - pubblicato su http://azionecattolica.it